Stefanina del Lino
LA PORTA APERTA

IO SONO LA PORTA
Gv 10,9
Gesù si rivela in una scuola negli anni ’80, vestito in modo contemporaneo: è l’inizio di una nuova Teologia dell’immagine, pensata per la nostra epoca.
La fede non parla solo con le parole, ma anche con i segni che attraversano la storia. Negli anni ’80, in un contesto semplice come una scuola, Cristo ha scelto, abbassandosi ancora una volta, di mostrarsi ma con vesti contemporanee, per dire che la Sua presenza è reale, vicina, attuale.
Nella pagina accanto, clicca sul link accanto ho già spiegato la motivazione di questo abbigliamento.
📖 Scopriamo la Teologia dell’immagine
Radici bibliche
La parola “immagine” è scritta all’inizio della Bibbia: “Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza” (Gen 1,26).
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L’uomo porta in sé un riflesso divino.
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San Paolo dirà poi che Cristo è “l’immagine del Dio invisibile” (Col 1,15).
👉 La fede cristiana nasce quindi dall’idea che l’invisibile possa farsi visibile.
I primi secoli della Chiesa
Nei primi secoli, i cristiani usavano simboli (pesce, ancora, pastore) per esprimere la fede. Ma presto nacquero anche le prime immagini di Cristo e dei santi.
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Alcuni le temevano come idolatria.
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Altri, come San Giovanni Damasceno (VIII sec.), difesero le icone: “Non venero la materia, ma il Creatore della materia che per me si è fatto carne e immagine.”
La crisi iconoclasta
Tra l’VIII e il IX secolo, nell’impero bizantino, esplose l’iconoclastia: gli imperatori distruggevano immagini sacre.
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La Chiesa rispose con il Concilio di Nicea II (787), che dichiarò le icone parte integrante della fede.
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Non vanno adorate (adorazione spetta solo a Dio), ma venerate: l’onore reso all’immagine passa al prototipo che essa rappresenta.
👉 Qui nasce ufficialmente la teologia dell’immagine: l’immagine non è un semplice ornamento, ma un mezzo con cui Dio parla al popolo.
L’arte come catechesi
Dal Medioevo in poi, soprattutto in Occidente, le immagini diventano catechismo per gli occhi.
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Le chiese di Giotto, Michelangelo, Caravaggio hanno insegnato il Vangelo a generazioni di fedeli analfabeti.
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L’immagine diventa così una “Bibbia visiva” per tutti.
Oggi: una nuova teologia dell’immagine
Il nostro tempo è dominato dalle immagini: TV, cinema, social. In questo contesto, la Chiesa è chiamata a riscoprire la forza delle immagini come linguaggio universale.
Gesù sceglie di mostrare la Sindone Sindone, il segno più potente della Teologia delle immagini:
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non riducibile a pura reliquia né a prova scientifica, ma inspiegabile anche per i moderni mezzi tecnologici.
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Icona teologica, che parla in silenzio di Cristo morto e risorto.
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Venerata in Occidente e riconosciuta anche in Oriente come immagine “non fatta da mano d’uomo” (acheiropoietos).
👉 In un certo senso, la Sindone è il “selfie” che Cristo ha lasciato al mondo: non per curiosità, ma come teologia visiva della sua passione e resurrezione.
Una coincidenza che non può essere casuale.
In conclusione, se ripercorriamo la storia della teologia dell’immagine, vediamo come nei secoli l’uomo abbia sempre cercato di dare un volto al Mistero: dall'uomo delle caverne, ai mosaici bizantini, al rinascimento, alle grandi opere di artisti, immortali, che non rappresentavano solo un soggetto ma trasmettevano la sua presenza reale.
Le icone venerate in Oriente come “finestre sull’eterno”, fino alle discussioni dell’epoca medievale e moderna sulla liceità e sul significato delle immagini sacre.
La Chiesa ha custodito e difeso questa verità: l’immagine non è un semplice ornamento, ma può essere un linguaggio teologico, un mezzo con cui Dio stesso sceglie di comunicare.
In questo orizzonte, la Sindone di Torino appare come la vetta di una lunga storia, presente da subito, dal Sabato Santo. Non è una prova scientifica, ma una reliquia che interroga, un’icona che raccoglie in sé Oriente e Occidente, un segno che nel silenzio proclama la risurrezione. È una teologia vivente, specchio del vangelo, un annuncio per un mondo che oggi parla soprattutto attraverso le immagini.
E allora possiamo intravedere una rarissima coincidenza, direi impossibile da spiegare solo con il caso: negli anni ’80 – proprio all’inizio dell’era delle immagini, che ci avrebbe condotto fino alla digitalizzazione globale – Cristo sceglie di rivelarsi a una ragazzina, mostrandole la sua uscita dalla Sindone.
È come se il suo “volto” avesse voluto riemergere in un tempo che stava imparando a vivere e comunicare per immagini.
Un ritorno che non è spettacolo, ma profezia silenziosa: Gesù stesso che, nell’epoca delle immagini, offre al mondo la sua icona definitiva, segno d’amore e di speranza che non smetterà mai di parlare.
La Teologia dell’immagine è la certezza che Dio si lascia vedere, che l’invisibile si manifesta nel visibile.