Stefanina del Lino
LA PORTA APERTA

IO SONO LA PORTA
Gv 10,9

Gesù e il significato dell’abbigliamento moderno
Gesù nella sua epoca: semplicità e incarnazione
Quando Gesù visse in Galilea e in Giudea, non portava segni esteriori che lo distinguessero dagli altri uomini del suo tempo. Il suo abbigliamento era quello comune a un artigiano o a un viandante: una tunica semplice, un mantello, sandali.
Non cercò mai di imporsi attraverso la ricchezza o il prestigio dei vestiti, anzi scelse volutamente la via della normalità. Questo dettaglio apparentemente secondario è in realtà centrale, perché manifesta la verità della sua incarnazione: il Figlio di Dio non si è fatto uomo in maniera astratta, ma è entrato nella storia in modo concreto, condividendo fino in fondo la vita degli uomini del suo tempo.
Il suo abito ordinario diventa così un segno eloquente della sua missione: non isolarsi, ma avvicinarsi; non distinguersi esteriormente, ma confondersi nella folla; non attirare con gli ornamenti, ma con la parola, con i gesti e con l’amore.
Quando si è manifestato indossando abiti moderni, ha posto in essere un dettaglio che ci invita a riflettere sul messaggio racchiuso in questa scelta. Non si tratta di un particolare casuale: come già fece nella sua vita terrena, Egli si è presentato con semplicità, condividendo l’abbigliamento della nostra epoca per ribadire la sua vicinanza concreta all’umanità.
Ribadisco l'intenzione del Maestro di confermare l’autenticità della Sacra Sindone. Infatti, Egli si mostra con la stessa corporatura e fisionomia impressa sul Sacro Lino, come se tra passato e presente non vi fosse alcuna distanza.
Non è la prima volta che Gesù chiede di essere rappresentato: lo aveva già rivelato a Santa Faustina Kowalska, domandandole di dipingere la sua immagine come segno di Misericordia per il mondo.
Allora come oggi, l’invito è lo stesso: riconoscere che il suo volto, i suoi segni e persino il suo abito non appartengono a un’epoca remota, ma ci raggiungono qui e ora, come testimonianza viva della sua presenza, rivolto in particolare ai giovani.
Queste rappresentazioni non vogliono sostituire le icone o le immagini classiche, ma aprire un ponte verso chi fatica a percepirlo come “presente”.
È un linguaggio visivo che dice: Cristo non è relegato in un passato remoto, è l’Uomo di oggi, cammina per le nostre strade, siede accanto a noi nelle aule scolastiche o negli uffici, vive nelle periferie delle città moderne.
In questo senso, l’arte e la catechesi che mostrano Gesù in contesti attuali diventano strumenti di evangelizzazione: permettono di cogliere la sua universalità e la sua attualità, evitando che venga percepito come un personaggio storico lontano e superato.
La stessa Chiesa ha già aperto la strada con le nuove canonizzazioni e beatificazioni, a figure come Carlo Acutis o Chiara Corbello, giovani che hanno vissuto la fede con radicalità e freschezza, vestendo in maniera contemporanea, nel loro tempo e nella loro cultura, senza nulla togliere alla profondità della testimonianza evangelica.
Questo dimostra che la santità non appartiene solo al passato o a modelli lontani, o ad un certo tipo di vestiario, ma è una chiamata attuale, incarnata nella vita quotidiana, nelle mode e nei linguaggi di oggi.

I paramenti sacri: il linguaggio della trascendenza
Diverso è il discorso sui paramenti sacri. Essi non appartengono alla vita terrena di Gesù, ma alla dimensione della Chiesa che celebra il suo mistero. Nel rito liturgico, infatti, il sacerdote agisce in persona Cristi, ossia rappresenta Cristo stesso che offre se stesso al Padre.
Gli abiti liturgici hanno dunque un valore fortemente simbolico:
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Separazione dal quotidiano: segnano che ciò che avviene è diverso dal tempo ordinario, è un tempo “altro”, sacro.
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Funzione e identità: distinguono il ministro e lo rendono riconoscibile come colui che presiede l’assemblea.
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Bellezza e dignità: i colori, i ricami, la forma vogliono rimandare alla gloria di Dio e rendere evidente la solennità del mistero celebrato.
In questo senso i paramenti non hanno lo scopo di “avvicinare” Gesù, ma di ricordare la sua trascendenza, la sua dimensione divina, che supera l’ordinario e ci apre a un’esperienza del Cielo.